Corsico e la sua storia Volume 1

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2 CORSICHESI ALLE 5 GIORNATE DI MILANO

Le Cinque giornate di Milano sono un episodio di insurrezione armata avvenuto tra il 18 e il 22 marzo 1848 nell'allora capitale del Regno Lombardo-Veneto, che portò alla temporanea liberazione della città dal dominio austriaco. 
In quei cinque giorni, i milanesi si sollevarono contro l’oppressione austriaca, costruendo barricate e combattendo per la libertà. Fu una lotta accesa, che vide la partecipazione attiva di cittadini comuni, armati più di coraggio che di armi vere e proprie. La rivolta fu scatenata da una serie di tensioni accumulate e da eventi catalizzatori come le riforme liberali di Papa Pio IX e la caduta del cancelliere austriaco Metternich, simbolo dell’assolutismo. Il risultato fu la temporanea liberazione di Milano dal giogo austriaco e l’istituzione di un governo provvisorio. 
Questo fu uno dei moti liberal-nazionali europei del 1848-1849 e rappresentò uno degli episodi cruciali della storia risorgimentale italiana del XIX secolo. Le Cinque giornate di Milano furono un preludio all'inizio della prima guerra d’indipendenza italiana.

Ecco un breve riassunto delle principali fasi:

Contesto storico:
Nel 1848, Milano era la capitale del Regno Lombardo-Veneto, parte dell’Impero austriaco.
Il malcontento era diffuso tra i milanesi, e le decisioni politiche del papa Pio IX, come l’introduzione di una maggiore libertà di stampa, avevano suscitato speranze di cambiamento.
La tensione tra milanesi e austriaci era cresciuta nel corso dei mesi, con ogni gesto interpretato negativamente da entrambe le parti.
Svolgimento delle Cinque giornate:
18 marzo: Iniziano gli scontri tra gli insorti milanesi e le truppe austriache.
19-20 marzo: Combattimenti accesi in diverse parti della città, con la popolazione che si ribella contro l’occupazione austriaca.
21 marzo: Formazione del Governo provvisorio di Milano.
22 marzo: Vittoria dei milanesi, con gli austriaci costretti a ritirarsi temporaneamente.
Conseguenze:
La rivolta influenzò le decisioni del re di Sardegna, Carlo Alberto, che dichiarò guerra all'Impero austriaco.
Le Cinque giornate di Milano furono un momento di grande unità e spirito patriottico per gli italiani, segnando l’inizio di una lotta per l’indipendenza e l’unità nazionale.

Arturo Faconti, archivista dell'Opera pia pei Derelitti e Orfani, nel 1894 ha pubblicato il libro Le cinque giornate, Morti, feriti, benemeriti. 
In questa pubblicazione appaiono nell'elenco come benemeriti e feriti due cittadini corsichesi, Calati Carlo e Grandi Paola.

328 Calati Carlo. Oste, in Corsico. Messaggero a servizio del G. P. venne segnalato anche sulla Gazzetta di Milano del 30 marzo 1848 per audacia nel superare due volte le mura con pericolo della vita e per portare lettere e notizie, anzi la seconda volta inseguito dal nemico, saltò dai bastioni e riportò una forte lombaggine. Per premio al valore L. 300.

792 Grandi Paola. Domestica, di Corsico. Era al servizio di Rosa Monti maritata Verga, che tanto si distinse nelle cinque giornate di marzo 1848, e da essa prendendo esempio e coraggio, efficacemente la coadiuvava nell'erigere barricate, trasportare feriti ed altro. Fu appunto nell'erezione di una barricata che cadutole un grosso sasso sulla gamba destra gliela contundeva.

ARTURO FACONTI, LE CINQUE GIORNATE
Morti, feriti , benemeriti . 1894


Piazza 5 giornate a Milano

Corsico e la sua storia - Volume 1 
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1836 - NOVELLA STORICA SU CORSICO, LA GALLINA DELLA POVERA MARIA di DEFENDENTI SACCHI


Questa novella è derivata dal grosso incendio che  il 2 aprile del 1834 colpì Corsico, a questo link tutti i dettagli di quella tragedia 
L'autore ha descritto eccellentemente uno spaccato di vita corsichese del 1800. 

LA GALLINA DELLA POVERA MARIA

Racconto storico

E che? volete forse crearne la letteratura delle galline? — odo gridare alcuno vedendo il titolo di questo racconto? — Sempre novità con questa gente di lettere: ne hanno creata la letteratura marittima, Victor Hugo trovò quella del carnefice e dei patiboli, Balzac quella dell’ebbrezza e delle nequizie umane, ed ora chi sa quali uova faranno covare a queste galline! omai non ci si parla più nè delle colombe di Venere, nè del gallo di Marte, e ci vorreste pur annojare con una gallina? Se intendete inventare una nuova letteratura di unghie e di penne, attendete un altro secolo. — Un po’ di calma; io non presumo levare le ali a tanto volo; anza sono sì implumi che vanno sempre terra terra, ed hanno bisogno di riposo e di sussidio ad ogni piccolo viaggio. Solo, mentre tutti mandano la loro voce fra questo bel mondo, amo talora alzare anche la mia e dire qualche parola per ajutare il lettore a compiere uno sbadiglio. Perchè poi tanto fernetico ad udirvi ricordare una gallina? si sono lodati tanti cani da due o da quattro gambe, da quello d’Ulisse fino a’ nostri dì, ch’io posso ben lodare una gallina: non è poi tanto abietto uccello, se considerate i conforti che vi danno le sue uova in certi bisogni della vita, le mille generazioni di cibi onde v’imbandisce le mense: è una bestiuola sempre cara, giovane e provetta, e a dritto il secolo la tolse a simbolo di quelle amabili creature, cui il tempo passò lieve lieve a scompigliare con un soffio molesto i fiori del viso, e segnò di qualche nota la morbida pelle ai polsi, ma pure serbano ancora tanto vezzo che si vedono raumiliati innanzi i baffi della più balda gioventù, che mandano gli incensi profumati alla loro deità; infine se Buffon fece il panegirico del cantore orecchiuto, io ben posso dirvi le lagrime che ebbe una gallina da una povera vecchierella.
In Corsico, piccolo villaggio lunge a poche miglia da Milano, vive la buona Maria che vide nei due secoli che si toccarono, pari numero d’anni posarsi sulle sue spalle, e col presente 1834 si pongono in bilancio le due partite: era figlia d’un custode di formaggi. Corsico, come Codogno, è un emporio di caci detti parmigiani, e questi si conservano finchè partono pel mare, in ampie stanze intorno alle quali da terra alla soffitta sono ordinati forti assiti, quasi a maniera di scaffali, e su questi disposte le innumerevoli forme di formaggi, che valgono meglio de’ volumi in foglio de’ nostri eruditi, perchè almeno confortano lo stomaco. A queste ragguardevoli biblioteche, che modestamente si chiamano Casare, presiede un uomo di forti braccia, di gran petto, che svolge fra le mani, come una signora usa d’una strenna dorata, questi pesanti volumi, ed ha tatto ed ingegno, perchè se mal gli governa vanno sciupati. Costoro hanno buon guadagno e conducono con un po’ d’agio la vita: quindi Maria crebbe ben pasciuta, rubizza nella casa paterna; bella fra’ villici, pareva un fiore del campo, e andò a marito da molti desiderata, ed ebbe due figli che allattò coll’umore del proprio seno, perchè le contadine non si rifiutano a questo sacro ufficio e più 
caro della natura; e li crebbe sulle proprie ginocchia e accolse i loro primi sorrisi: essi la ricambiarono non d’ingratitudine, come usano quelli che la madre spinse dal proprio seno ad attingere colle prime aure di vita tristi inclinazioni altrove, ma la rimeritarono del più tenero amore, ed ella fu a lungo beata fra la domestica felicità, buona madre e moglie. Felicità  che appare nella vita come un lampo che striscia e s’asconde fra le nubi, come il sorriso che rapido spunta sul labbro e passa; quando Maria toccava all’ottavo lustro, fu vedovata del suo compagno. Pianse la misera a lungo, e solo ebbe consolazione dai figli che fiorirono mercè le sue cure alla più bella giovinezza; ma in breve le fu d’uopo partire da sè la femmina per accompagnarla a uno sposo: ne avea dolore; ma pure si ricreava di vederla sovente, si ricreava nelle cure del maschio, il quale co’ proprj lavori le faceva comoda la vita che già al cinquantesim’anno, s’incurvava all’età dei bisogni.
Ma appena il lontanare dalla perdita dello sposo aveva in lei fatto mite il patimento con una soave ricordanza, e talora le sorgeva in cuore la gioja, ecco che la figlia nello sporgere una cara portata cadde fra le tante che vuole la natura ostile a questo grande mistero. Povera Maria! fu presso a morirne di dolore, e la confortava il figlio e la stringeva fra le sue braccia, e pianse per molti anni, e solo avea consolazione delle care parole di lui, di lui che le era di sussidio e compagno, era il bastone della sua vecchiezza... ma pur questo le fu tolto, e in pochi dì, e da fiero indomito male. Povera Maria! sola sola, senza lo sposo, senza i figli, e nel rinnovato affanno, tutti le parve averli perduti in un giorno; sola e senza conforto, senza una pietosa mano che la sollevasse nell’ambascia!
A tanti mali si aggiungeva la povertà, poichè mancato il figlio, più non aveva Maria quegli che col poco guadagno la soccorresse nelle necessità della vita, sicchè ella a poco a poco si vendè le masserizie della casa, si ridusse in una piccola casetta col solo letto, la cassa e il pajuolo ove cuoceva la polenta; filava per le vicine e si guadagnava qualche moneta per comperarsi la farina e il pane. E pure fra gli stenti e la povertà unicamente si doleva d’essere sola, di non avere una creatura che rispondesse con un palpito di vita a’ suoi sospiri.
Pensa, e desidera: un dì in primavera vede un pulcino dalla vicina, di recente sbucciato dell’uovo, e pensa che crescendolo domestico possa esserle compagno: si toglie per un giorno il pane di bocca, porge due soldi alla contadina e reca il pulcino nel proprio abituro. Quivi ei crebbe in breve, e vispa spogliò la pelluria e vestì penne brune, gli fiorì rosea cresta sul capo, e Maria fu lieta di scoprire ch’era una gallina. Ella poneva tutte le sue cure intorno a quella bestiuola, e questa era sì addimesticata con lei che pareva intenderla e risponderle a tanto amore.
Stava la vecchierella assisa sul suo scranno a tre piedi, e svolgeva col fuso il filo dalla rocca, e la Checca spiccava un salto sul dorsale della sedia e allungava il collo alle spalle di Maria, e col becco le prendeva le orecchie, o i capelli, o con la cresta le carezzava la guancia. Maria su [332] un deschetto vivandava lo scarso cibo, e la Checca ponevasi accanto a lei e beccherellava sul suo piatto, e qualche volta petulante furava dalla bocca della sua benefattrice parte delle vivande.
Alcuni paesani donavano all’antica figlia del loro collega i truccoli che nel governare il formaggio ancor giovine, vi raschiavano dalla crosta, e chiamano in lombardo raspadura, ed ha sapore, ed è cibo che sovente non isgradisce ai più dilicati palati. Questa era la sola pietanza della povera donna: con questa condiva la minestra e la polenta, questa imbandiva sulla mensa a companatico: la Checca ne era assai ghiotta, e Maria piacevasi sporgergliele di propria mano quel cibo, e talora ricreavasi di sollevare il braccio quando la gallina allungava il collo, sicchè la poveretta spiccava un salto per imbeccarlo e Maria rideva, e la Checca faceva un certo squittire che non saprebbesi se di gioja o d’impazienza. Povera Checca, le diceva sovente Maria, vieni sulle mie mani; e la Checca spiccava il volo chiocciando, e le era sul braccio, e Maria l’accarezzava e le ripeteva: — Sì povera Checca, non ho che te a questo mondo: tu sola mi fai compagnia, tu sola mi consoli fra tante tribolazioni: ho perduto tutto, mi resti tu sola! — E la Checca pareva risponderle, ora spiumacciandosi, ora facendo col dutile collo mille capolini e giochetti graziosi.
La Checca poi rimeritava le cure della sua benefattrice, col farle ogni giorno un uovo, sicchè la vecchierella ora s’aveva un cibo confortativo, ora un piccolo guadagno, poichè i vicini che bisognavano d’uova fresche le richiedevano a lei, e ne riceveva piccola mercede, tolto quando doveano servire per qualche puerpera povera: questa nella propria miseria, era la carità che faceva Maria, carità più pregiata di quella che distribuisce il ricco tolta al superfluo delle proprie profusioni; e Maria n’era lieta, nè voleva udirsi ringraziare, poichè la chiamava l’offerta della sua Checca. Così la vecchierella, da sei anni era meno trista, divideva con quella bestiuola innocente i suoi giorni ed era contenta; con lei parlava del marito e dei figli, con lei versava le sue lagrime, con lei il sorriso della gioja.
Povera Maria! anche questa consolazione doveva esserti tolta. Era un dì sereno, ma spirava impetuoso il vento: alcuni segatori di legna aveano acceso il fuoco in un cortile per cuocere la loro polenta. Il vento rapisce alcune faville, le getta su un tetto, avvampa un incendio; il vento infuria, la fiamma si spicca ed arde un’altra casa, e in breve abbrucia in molte parti il desolato villaggio. Volano da Milano le pompe ad acqua, i pompieri, i soldati, e lottano per lunghe ore contro un elemento che cresce al soffiare dell’altro. Chi grida, chi accorre, un trambusto, una pressa, un terrore universale: dopo dodici ore di fiera lotta fra la natura e l’uomo, vinse questo, e cessò il palpitare di coloro che già vedevano in breve perduta la propria abitazione.
Il nuovo giorno rischiarò una scena di miserie; case arse e distrutte, un serbatojo ov’erano ottocento formaggi interamente consunto, e sul terreno un giallo strato di quel cibo prezioso che alla vampa ardente s’era liquefatto; tetti cadenti, mura annerite; travi semiarse, un accorrere di gente curiosa a vedere, un trarre d’altri a cercare le proprie cose; tutti erano atterriti, erano mesti, e andavano, venivano confusamente. Dimande incessanti, risposte tronche, accenti di dolore, parole di conforto.
Fra tanto trambusto, in un cortile, non molto lungi da una casetta tutta arsa, stava assisa sur una trave affumicata una vecchierella: aveva le poche chiome canute sparse sulle spalle, il capo inchinato, le braccia pendenti, abbandonate: piangeva dirottamente, e guardava sul grembialetto, ove teneva abbrustolata, morta una gallina.
Povera Checca! erano le sole parole che la dolente dicesse senza rimuovere mai gli occhi dalla gallina: povera Checca! ora sono sola! e ricominciava il pianto.
Passava il curioso e vedendo una donna fra tante rovine, piangere sur una gallina, rideva; passava l’indiscreto e le gettava qualche motto di rimprovero: ma ella non si rimuoveva dalla sua posizione, piangeva e ripeteva quelle meste parole. Infine un di que’ bravi che nella notte aveano dato il braccio a spegnere l’incendio, se le accostò a confortarla, e Maria le narrò le sue disgrazie, le narrò della sua Checca. Ella non lamentava, nè il letto arso, nè le masserizie distrutte, solo lamentava la perduta sua compagna. Povera Maria! i tuoi sospiri abbiano un eco che vi risponda, la tua lagrima una mano che la rasciughi, i tuoi affanni la pietà degli umani che li consoli.

Crediti
Fonte a stampa “Novelle e racconti”, di Defendente Sacchi; Milano : Coi torchi di Omobono Manini, 1836


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IL CARTELLO "BLU" CORSICO


Oramai non ci si fa più neanche caso ma il cartello blu di Corsico è li appeso all'ingresso di Via Cavour da oltre cento anni. Questo cartello fa parte delle migliaia di cartelli segnalazione che il Touring Club nel secolo scorso ha installato in tutta la penisola.
"Nel 1906 il Touring iniziò a divulgare e produrre i segnali stradali per indicare l'inizio dei centri abitati, in modo da aver un'indicazione comune a tutti i paesi d'Italia. Su questi cartelli, di dimensione 115 x 70 cm, vi erano riportati il nome della località, scritto in carattere evidente, e poi i nomi della provincia, del circondario e le distanze dei rispettivi capoluoghi. Erano poi indicati i servizi più comuni ed utili all'epoca, quali l'ufficio postale, quello telegrafico, la stazione ferroviaria o tranviaria (se non presenti, la distanza a quella più vicina), il medico e le indicazioni di direzione, per ogni senso di marcia, verso i comuni prossimi da un lato e dall'altro del paese. 
Ogni cartello installato in Italia aveva un proprio numero d'ordine e l'intera numerazione era archiviata presso l'ufficio tecnico del TCI; nel 1914 vennero installati complessivamente 21.000 cartelli, suddivisi in cartelli di direzione, segnalazioni di passaggi a livello, di svolta pericolosa, di cunetta, di incrocio pericoloso, di discesa pericolosa, di strada accidentata, di strada interrotta, di arresto, di rallentare, di dogana, di confine, di fermare al dazio e cartelli 
altimetrici."
E anche il nostro cartello blu arriva all'incirca nel 1914 e come c'e scritto anche sulla targa, che magari ad alcuni è sfuggito, è stato un dono di un cittadino e futuro Sindaco corsichese, il ragioniere Perico Enrico (1876-1959) console del Touring Club.
Nel 1926 viene eletto alla carica di Podestà succedendo al fratello, Sindaco uscente, Perico Luigi.


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21 AGOSTO 1939 - CINQUE RAGAZZE IN ZUFFA PER I BEGLI OCCHI DI UN ADONE

Cinque ragazze in zuffa per i begli occhi di un Adone
Milano, 21 agosto.
Un fascino irresistibile pare possa vantare un giovane operaio di Corsico, di cui si tace il nome, sé un intero caseggiato è stato messo a rumore per lui. Oggi infatti, nello stabile popolare vin Ugo Foscolo 5, a Corsico, cinque giovani donne sono venute a diverbio per questo Adone novecento. Una di esse, vantando altezzosamente un certo convegno avuto ieri sera con il seducente operato, sollevava le ire delle altre convenute sui ballatoio, e la disputa ai accendeva più feroce che mai quando venne in chiaro che anche le altre quattro avevano goduto dei favori del giovane. Volarono ingiurie, contumelle e poi pugni,  schiaffi e cioocche di capelli; finché intervennero | carabinieri locali a fermare le inferocite ragazze e a tradurle alla vicina caserma. Ora una denunzia reciproca è stata sporta dalle cinque donne.



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1921 - QUANDO LA POETESSA ADA NEGRI SOGGIORNO' A CORSICO

Affacciata sul Naviglio c'è una palazzina di inizio novecento che ci racconta una curiosità sulla nostra Corsico.
Il Signor Italo Grossi 
Era il 1921 e l'allora proprietario del palazzo, il Signor Italo Grossi, era a Motta Visconti, dove possedeva un caseificio in via Ticino al numero 2,  e al suo ritorno verso casa accompagnò con la sua auto la poetessa Ada Negri (1870-1945), alla quale stava dando un passaggio verso Milano, che decise poi di soggiornare qualche giorno a casa del Grossi, proprio nella palazzina tutt'ora esistente in via XX settembre al civico 41. 
In quel tempo gli spostamenti non erano cosi veloci come al giorno d'oggi, in pochi possedevano un auto e siamo certi che la poetessa avrà approfittato del passaggio verso la "lontana" Milano.
A testimonianza vi è una cartolina datata 23 agosto 1921, scritta proprio dalla Negri come ringraziamento al proprietario Italo Grossi. 


L’edificio è tutt'ora di proprietà degli eredi della famiglia Grossi e fin dal 1918 è stato dato in locazione per uso abitativo. Il Signor Italo Grossi era il bisnonno dell'attuale proprietaria.
Ada Negri


Qui la biografia della poetessa 
https://it.wikipedia.org/wiki/Ada_Negri
La cartolina autografa


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6 GIUGNO 1859 - QUANDO I CORSICHESI SALVARONO IL PONTE

Una delle più vecchie foto del ponte di Corsico, qui siamo nei primi anni del 900.
Cosi poteva apparire nel 1859

Siamo nel 1859 e il contesto storico è quello della seconda guerra d'indipendenza quando, dopo le vittoriose battaglie di Magenta prima e quella di San 
Martino e Solferino poi, il Regno di Sardegna conquista i territori del Regno Lombardo-Veneto sino a quel momento controllati dagli sconfitti austriaci.
Il 4 giugno 1859 ci fu la celebre Battaglia di Magenta e dopo cruenti scontri l'esercito franco-piemontese (i francesi che combattevano con il Regno di Sardegna erano in maggior numero rispetto ai piemontesi), coadiuvato da battaglioni di zuavi provenienti dall'Africa, riuscì a battere e mandare in ritirata l'esercito austriaco.
Il 5 giugno, giorno seguente alla battaglia, gli austriaci, che avevano bisogno di riorganizzare le truppe dopo le numerose perdite, iniziano la loro ritirata verso Milano, non prima però di aver fatto saltare tutti i ponti che trovavano lungo la strada per poter così rallentare l'offensiva francese che ancora gli stava dietro.
Fecero saltare tutti i ponti sul Naviglio da Abbiategrasso a Milano, compreso quello di Gaggiano, tutti meno che uno. 
Il 6 giugno gli austriaci di passaggio a Corsico, e come avvenuto in precedenza, si apprestano a far saltare anche il ponte qui presente. I corsichesi riuscirono però a corrompere, si legge, con "pochi Napoleoni d'oro" l'ufficiale austriaco addetto alla mina e fu così che con una storica tangente il popolo salvò il suo ponte costruito non molti anni prima, nel 1823.
Durante il loro ripiegamento verso Milano gli austriaci, ormai consapevoli della sconfitta, pensarono bene oltre a far saltare i ponti anche a saccheggiare le città ove passavano. Corsico fu  invece risparmiata da entrambi i trattamenti grazie all'intercessione dei suoi abitanti storicamente uniti. 
Nel 1859 Corsico contava circa 1500 abitanti e l'unico centro abitato, oltre alle Cascine sparse su tutto il territorio, era la sola attuale via Cavour, all'epoca divisa in due frazioni chiamate Contrada del ponte e Contrada della chiesa. 
Una cartina del 1854
Una litografia francese del 1859,
 descrive francesi che entrano a Corsico


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CURIOSITA' - PECORE A CORSICO

 Non è la prima volta che delle pecore si aggirano per il nostro territorio ma oggi abbiamo voluto documentarlo. Ovviamente erano nell'unica zona adatta al loro pascolo, la campagna tra Via dei Navigli e la Guardia di Sotto.








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CURIOSITA' - GALLINE SUGLI ALBERI AL PARCO RESISTENZA (2016)

 Qualche anno fa durante una passeggiata al parco della Resistenza ho notato che c'erano un sacco di galline sopra i rami degli alberi. La cosa mi è apparsa alquanto strana e non penso sia molto comune che le galline salgano sugli alberi.
Non so' se ci siano ancora, andrò a fare un giro.

Ecco un video e alcune foto.






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CURIOSITA' - IL PRIMO TRICOLORE ITALIANO NELLA SALA DEL CONSIGLIO COMUNALE

Il tricolore italiano nasce il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia come bandiera della Repubblica Cispadana. Corsico in quel tempo faceva parte della Repubblica Transpadana costituita nel 1796, e il 9 luglio del 1797 insieme alla Repubblica Cispadana cessavano la loro esistenza e confluivano nella Repubblica  Cisalpina. 
Nella Sala del Consiglio Comunale di Corsico è appesa ad un quadro una copia (dovrebbe essere una riproduzione) del primo tricolore italiano della Repubblica Cispadana. 
Nonostante il territorio di Corsico non apparteneva alla Repubblica Cispadana comunque la sua bandiera rappresenta la prima raffigurazione del Tricolore italiano, il nostro emblema nazionale. 

"la bandiera italiana, nasce il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia come bandiera della Repubblica Cispadana , la cui conformazione è stabilita dall'art. 12 della Costituzione"

Il tricolore italiano quale bandiera nazionale nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, decreta "che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco, e Rosso, e che questi tre Colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti".
 
Le foto qui sotto risalgono al 2015.





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CORSICO E LA SUA STORIA CONSIGLIA:

1823-2023, IL PONTE DI CORSICO COMPIE 200 ANNI

Il primo ponte in centro a Corsico fu eretto nel 1550 circa, e, come si nota nella mappa del 1722 qui sotto riportata, era in linea con l...

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