Corsico e la sua storia Volume 1

5 AGOSTO 1924, NASCE A CORSICO L'EX MINISTRO VIRGINIO ROGNONI

 Il 5 agosto 1924 nasce a Corsico l'ex Ministro Virginio Rognoni.



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29 LUGLIO 1926, I LADRI FANNO VISITA AL COMUNE DI CORSICO

Sul giornale del 30 luglio 1926 si apprende la notizia che il giorno prima dei ladri hanno fatto visita al Comune di Corsico. Il ragionier Enrico Perico era l'allora Podestà in carica.
Si legge:
Ieri mattina il podestà di Corsico recatosi nei suoi uffici ebbe una brutta sorpresa. Gli uffici erano sotto sopra, a terra erano libretti al portatore per circa 20 000 lire, francobolli carte etc.
Si sta ora facendo un accurato inventario per stabilire quanto i ladri abbiano effetivamente rubato.
Le indagini intorno alla audace impresa sono state assunte dal maresciallo dei carabinieri di Corsico al quale il messo comunale Attilio Monti che occupa due camere attigue ai locali del Municipio ha dichiarato di aver udito strani rumori tra le 2 e le 2 e 30 di notte ma di non essersi allarmato avendo attribuito la causa al vento che imperversava.




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15 LUGLIO 1986, MUORE DON AGOSTINO SACCANI

Dopo una lunga malattia  il 15 luglio 1986 alle ore 10 muore a 45 anni Don Agostino Saccani Parroco della chiesa dedicata allo Spirito Santo in Piazza Europa.



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CORSICO, GUIDA GENERALE DI MILANO 1873-1874

 CORSICO (Comune) Villaggio e comune posto in pianura ad ovest da Milano, lungo la strada postale da Milano ad Abbiategrasso sul Naviglio grande. Ha 1746 abitanti, è capoluogo di Mandamento, compresi i comuni di Assago, Baggio, Buccinasco, Cesano Boscone, Cusago, Sella Nuova. Settimo Milanese e Trezzano sul Naviglio, dà una totale popolazione di 12,429. I principali rami di commercio sono: formaggi detti di grana o parmigiano; la produzione locale consiste in generi agricoli. Dista chilom. 6 da Milano, capoluogo di Circondario e di Provincia. Possiede una bella chiesa disegno del conte Gian Luca della Somaglia.

Municipio
Rolandi Alessandro, sindaco.
Candia Marcello, Perico Innocente, Mocchi Pietro, assessori.

Pretura
Rognoni dott. Antonio, pretore. 
Longi Angelo, cancelliere.
Domenighini Giuseppe, usciere.

Giudice conciliatore
Rolandi Alessandro.

Pubblica sicurezza
Stazione RR. CC., Belloni comandante.

Scuole
Scuole comunali maschili e femminili. 
Scuole serali e domenicali.

Medici chirurghi condotti
Migone dott. Giacomo.

Levatrici
Sant'Ambrogio Giuditta.

Farmacisti
Condia Marcello.

Veterinari condotti
Eletti Giosuè.

Alberghi, locande, trattorie
Insegna del Leoncino
Insogna della Rosa
Insegna del Nobile.

Agenzie di assicurazione
Agenzia di assicurazioni Grandini, incendi, vita, dell'uomo, figliale di Milano.

Negozianti grossisti 
Faini Luigi,  Balzaretti fratelli, Gallone Modesto, Gallone Alessandro e Maroni Cosmo, Mezanzaniga Gio. Battista, Nazari Ercole, Nicolini Daniele, Salterio fratelli, Perelli fratelli, Perico Innocente, Pozzi Carlo, negozianti di formaggi.

Pizzicagnoli, salumi e grassine
Maino Carlo, Tarantola Angiolo, Tarantola Carlo.

Prestinai
Pozzi Giovanni, Andreoni Enrico.

Sali e tabacchi
Maino Carlo, Luchini vedova Maria.




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1836 - NOVELLA STORICA SU CORSICO, LA GALLINA DELLA POVERA MARIA di DEFENDENTI SACCHI


Questa novella è derivata dal grosso incendio che  il 2 aprile del 1834 colpì Corsico, a questo link tutti i dettagli di quella tragedia 
L'autore ha descritto eccellentemente uno spaccato di vita corsichese del 1800. 

LA GALLINA DELLA POVERA MARIA

Racconto storico

E che? volete forse crearne la letteratura delle galline? — odo gridare alcuno vedendo il titolo di questo racconto? — Sempre novità con questa gente di lettere: ne hanno creata la letteratura marittima, Victor Hugo trovò quella del carnefice e dei patiboli, Balzac quella dell’ebbrezza e delle nequizie umane, ed ora chi sa quali uova faranno covare a queste galline! omai non ci si parla più nè delle colombe di Venere, nè del gallo di Marte, e ci vorreste pur annojare con una gallina? Se intendete inventare una nuova letteratura di unghie e di penne, attendete un altro secolo. — Un po’ di calma; io non presumo levare le ali a tanto volo; anza sono sì implumi che vanno sempre terra terra, ed hanno bisogno di riposo e di sussidio ad ogni piccolo viaggio. Solo, mentre tutti mandano la loro voce fra questo bel mondo, amo talora alzare anche la mia e dire qualche parola per ajutare il lettore a compiere uno sbadiglio. Perchè poi tanto fernetico ad udirvi ricordare una gallina? si sono lodati tanti cani da due o da quattro gambe, da quello d’Ulisse fino a’ nostri dì, ch’io posso ben lodare una gallina: non è poi tanto abietto uccello, se considerate i conforti che vi danno le sue uova in certi bisogni della vita, le mille generazioni di cibi onde v’imbandisce le mense: è una bestiuola sempre cara, giovane e provetta, e a dritto il secolo la tolse a simbolo di quelle amabili creature, cui il tempo passò lieve lieve a scompigliare con un soffio molesto i fiori del viso, e segnò di qualche nota la morbida pelle ai polsi, ma pure serbano ancora tanto vezzo che si vedono raumiliati innanzi i baffi della più balda gioventù, che mandano gli incensi profumati alla loro deità; infine se Buffon fece il panegirico del cantore orecchiuto, io ben posso dirvi le lagrime che ebbe una gallina da una povera vecchierella.
In Corsico, piccolo villaggio lunge a poche miglia da Milano, vive la buona Maria che vide nei due secoli che si toccarono, pari numero d’anni posarsi sulle sue spalle, e col presente 1834 si pongono in bilancio le due partite: era figlia d’un custode di formaggi. Corsico, come Codogno, è un emporio di caci detti parmigiani, e questi si conservano finchè partono pel mare, in ampie stanze intorno alle quali da terra alla soffitta sono ordinati forti assiti, quasi a maniera di scaffali, e su questi disposte le innumerevoli forme di formaggi, che valgono meglio de’ volumi in foglio de’ nostri eruditi, perchè almeno confortano lo stomaco. A queste ragguardevoli biblioteche, che modestamente si chiamano Casare, presiede un uomo di forti braccia, di gran petto, che svolge fra le mani, come una signora usa d’una strenna dorata, questi pesanti volumi, ed ha tatto ed ingegno, perchè se mal gli governa vanno sciupati. Costoro hanno buon guadagno e conducono con un po’ d’agio la vita: quindi Maria crebbe ben pasciuta, rubizza nella casa paterna; bella fra’ villici, pareva un fiore del campo, e andò a marito da molti desiderata, ed ebbe due figli che allattò coll’umore del proprio seno, perchè le contadine non si rifiutano a questo sacro ufficio e più 
caro della natura; e li crebbe sulle proprie ginocchia e accolse i loro primi sorrisi: essi la ricambiarono non d’ingratitudine, come usano quelli che la madre spinse dal proprio seno ad attingere colle prime aure di vita tristi inclinazioni altrove, ma la rimeritarono del più tenero amore, ed ella fu a lungo beata fra la domestica felicità, buona madre e moglie. Felicità  che appare nella vita come un lampo che striscia e s’asconde fra le nubi, come il sorriso che rapido spunta sul labbro e passa; quando Maria toccava all’ottavo lustro, fu vedovata del suo compagno. Pianse la misera a lungo, e solo ebbe consolazione dai figli che fiorirono mercè le sue cure alla più bella giovinezza; ma in breve le fu d’uopo partire da sè la femmina per accompagnarla a uno sposo: ne avea dolore; ma pure si ricreava di vederla sovente, si ricreava nelle cure del maschio, il quale co’ proprj lavori le faceva comoda la vita che già al cinquantesim’anno, s’incurvava all’età dei bisogni.
Ma appena il lontanare dalla perdita dello sposo aveva in lei fatto mite il patimento con una soave ricordanza, e talora le sorgeva in cuore la gioja, ecco che la figlia nello sporgere una cara portata cadde fra le tante che vuole la natura ostile a questo grande mistero. Povera Maria! fu presso a morirne di dolore, e la confortava il figlio e la stringeva fra le sue braccia, e pianse per molti anni, e solo avea consolazione delle care parole di lui, di lui che le era di sussidio e compagno, era il bastone della sua vecchiezza... ma pur questo le fu tolto, e in pochi dì, e da fiero indomito male. Povera Maria! sola sola, senza lo sposo, senza i figli, e nel rinnovato affanno, tutti le parve averli perduti in un giorno; sola e senza conforto, senza una pietosa mano che la sollevasse nell’ambascia!
A tanti mali si aggiungeva la povertà, poichè mancato il figlio, più non aveva Maria quegli che col poco guadagno la soccorresse nelle necessità della vita, sicchè ella a poco a poco si vendè le masserizie della casa, si ridusse in una piccola casetta col solo letto, la cassa e il pajuolo ove cuoceva la polenta; filava per le vicine e si guadagnava qualche moneta per comperarsi la farina e il pane. E pure fra gli stenti e la povertà unicamente si doleva d’essere sola, di non avere una creatura che rispondesse con un palpito di vita a’ suoi sospiri.
Pensa, e desidera: un dì in primavera vede un pulcino dalla vicina, di recente sbucciato dell’uovo, e pensa che crescendolo domestico possa esserle compagno: si toglie per un giorno il pane di bocca, porge due soldi alla contadina e reca il pulcino nel proprio abituro. Quivi ei crebbe in breve, e vispa spogliò la pelluria e vestì penne brune, gli fiorì rosea cresta sul capo, e Maria fu lieta di scoprire ch’era una gallina. Ella poneva tutte le sue cure intorno a quella bestiuola, e questa era sì addimesticata con lei che pareva intenderla e risponderle a tanto amore.
Stava la vecchierella assisa sul suo scranno a tre piedi, e svolgeva col fuso il filo dalla rocca, e la Checca spiccava un salto sul dorsale della sedia e allungava il collo alle spalle di Maria, e col becco le prendeva le orecchie, o i capelli, o con la cresta le carezzava la guancia. Maria su [332] un deschetto vivandava lo scarso cibo, e la Checca ponevasi accanto a lei e beccherellava sul suo piatto, e qualche volta petulante furava dalla bocca della sua benefattrice parte delle vivande.
Alcuni paesani donavano all’antica figlia del loro collega i truccoli che nel governare il formaggio ancor giovine, vi raschiavano dalla crosta, e chiamano in lombardo raspadura, ed ha sapore, ed è cibo che sovente non isgradisce ai più dilicati palati. Questa era la sola pietanza della povera donna: con questa condiva la minestra e la polenta, questa imbandiva sulla mensa a companatico: la Checca ne era assai ghiotta, e Maria piacevasi sporgergliele di propria mano quel cibo, e talora ricreavasi di sollevare il braccio quando la gallina allungava il collo, sicchè la poveretta spiccava un salto per imbeccarlo e Maria rideva, e la Checca faceva un certo squittire che non saprebbesi se di gioja o d’impazienza. Povera Checca, le diceva sovente Maria, vieni sulle mie mani; e la Checca spiccava il volo chiocciando, e le era sul braccio, e Maria l’accarezzava e le ripeteva: — Sì povera Checca, non ho che te a questo mondo: tu sola mi fai compagnia, tu sola mi consoli fra tante tribolazioni: ho perduto tutto, mi resti tu sola! — E la Checca pareva risponderle, ora spiumacciandosi, ora facendo col dutile collo mille capolini e giochetti graziosi.
La Checca poi rimeritava le cure della sua benefattrice, col farle ogni giorno un uovo, sicchè la vecchierella ora s’aveva un cibo confortativo, ora un piccolo guadagno, poichè i vicini che bisognavano d’uova fresche le richiedevano a lei, e ne riceveva piccola mercede, tolto quando doveano servire per qualche puerpera povera: questa nella propria miseria, era la carità che faceva Maria, carità più pregiata di quella che distribuisce il ricco tolta al superfluo delle proprie profusioni; e Maria n’era lieta, nè voleva udirsi ringraziare, poichè la chiamava l’offerta della sua Checca. Così la vecchierella, da sei anni era meno trista, divideva con quella bestiuola innocente i suoi giorni ed era contenta; con lei parlava del marito e dei figli, con lei versava le sue lagrime, con lei il sorriso della gioja.
Povera Maria! anche questa consolazione doveva esserti tolta. Era un dì sereno, ma spirava impetuoso il vento: alcuni segatori di legna aveano acceso il fuoco in un cortile per cuocere la loro polenta. Il vento rapisce alcune faville, le getta su un tetto, avvampa un incendio; il vento infuria, la fiamma si spicca ed arde un’altra casa, e in breve abbrucia in molte parti il desolato villaggio. Volano da Milano le pompe ad acqua, i pompieri, i soldati, e lottano per lunghe ore contro un elemento che cresce al soffiare dell’altro. Chi grida, chi accorre, un trambusto, una pressa, un terrore universale: dopo dodici ore di fiera lotta fra la natura e l’uomo, vinse questo, e cessò il palpitare di coloro che già vedevano in breve perduta la propria abitazione.
Il nuovo giorno rischiarò una scena di miserie; case arse e distrutte, un serbatojo ov’erano ottocento formaggi interamente consunto, e sul terreno un giallo strato di quel cibo prezioso che alla vampa ardente s’era liquefatto; tetti cadenti, mura annerite; travi semiarse, un accorrere di gente curiosa a vedere, un trarre d’altri a cercare le proprie cose; tutti erano atterriti, erano mesti, e andavano, venivano confusamente. Dimande incessanti, risposte tronche, accenti di dolore, parole di conforto.
Fra tanto trambusto, in un cortile, non molto lungi da una casetta tutta arsa, stava assisa sur una trave affumicata una vecchierella: aveva le poche chiome canute sparse sulle spalle, il capo inchinato, le braccia pendenti, abbandonate: piangeva dirottamente, e guardava sul grembialetto, ove teneva abbrustolata, morta una gallina.
Povera Checca! erano le sole parole che la dolente dicesse senza rimuovere mai gli occhi dalla gallina: povera Checca! ora sono sola! e ricominciava il pianto.
Passava il curioso e vedendo una donna fra tante rovine, piangere sur una gallina, rideva; passava l’indiscreto e le gettava qualche motto di rimprovero: ma ella non si rimuoveva dalla sua posizione, piangeva e ripeteva quelle meste parole. Infine un di que’ bravi che nella notte aveano dato il braccio a spegnere l’incendio, se le accostò a confortarla, e Maria le narrò le sue disgrazie, le narrò della sua Checca. Ella non lamentava, nè il letto arso, nè le masserizie distrutte, solo lamentava la perduta sua compagna. Povera Maria! i tuoi sospiri abbiano un eco che vi risponda, la tua lagrima una mano che la rasciughi, i tuoi affanni la pietà degli umani che li consoli.

Crediti
Fonte a stampa “Novelle e racconti”, di Defendente Sacchi; Milano : Coi torchi di Omobono Manini, 1836


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1823-2023, IL PONTE DI CORSICO COMPIE 200 ANNI

Il primo ponte in centro a Corsico fu eretto nel 1550 circa, e, come si nota nella mappa del 1722 qui sotto riportata, era in linea con l'ingresso della Via Cavour. 

1722 - Catasto teresiano, nel cerchio il ponte in linea con Via Cavour

Di questo ponte oltre alla posizione, alla data di costruzione e abbattimento sappiamo anche che era gemello del ponticello di Trezzano. 
In quell'epoca a Corsico vi era anche un altro ponte di cui non si è mai parlato ma che è stato indicato nelle mappe sino a meta del 1600 circa e da queste si evince che si trovava a metà strada tra il ponte di Trezzano e quello in centro a Corsico. Ecco due mappe a cavallo tra la seconda metà del 500 e il 1659, sono cerchiati i due ponti sul territorio di Corsico prima di quello di Trezzano sul Naviglio.



Molto probabilmente questo era un piccolo ponticello forse all'altezza delle due cascine Guardia di Sopra e di Sotto che si trovano appunto più o meno a metà strada come indicato sulle mappe. Non sappiamo altro se non che è stato riportato su alcune mappe per circa un centinaio di anni. Questo ponte non è presente nella mappa della Pieve di Cesano del 1566, supponiamo quindi sia successivo. 
Il ponte in centro venne abbattuto nel 1823 e ne fu ricostruito uno nuovo al costo di Lire 140.000 nella sua attuale posizione. 

Non sappiamo precisamente quando ma sempre in quegli anni viene modificato il percorso del Naviglio e viene cosi creata la Piazza del Ponte, che appare nelle sua attuale conformazione sulle mappe dal 1850 circa.
Corsico 1854, la nuova Piazza al Ponte

Il 5 giugno 1859, giorno seguente alla storica Battaglia di Magenta, gli austriaci, che avevano bisogno di riorganizzare le truppe dopo le numerose perdite, iniziano la loro ritirata verso Milano, non prima però di aver fatto saltare tutti i ponti che trovarono lungo la strada per poter così rallentare l'offensiva francese che ancora gli stava dietro.
Fecero saltare tutti i ponti sul Naviglio da Abbiategrasso a Milano, compreso quello di Gaggiano, tutti meno che uno. 
Il 6 giugno 1859 gli austriaci di passaggio a Corsico, e come avvenuto in precedenza, si apprestano a far saltare anche il ponte qui presente. I corsichesi riuscirono però a corrompere, si legge, con "pochi Napoleoni d'oro" l'ufficiale austriaco addetto alla mina e fu così che con una storica tangente il popolo salvò il suo ponte costruito non molti anni prima.
Durante il loro ripiegamento verso Milano gli austriaci, ormai consapevoli della sconfitta, pensarono bene oltre a far saltare i ponti anche a saccheggiare le città ove passavano. Corsico fu  invece risparmiata da entrambi i trattamenti grazie all'intercessione dei suoi abitanti.

Nella zona, come si usa dire, al di là del ponte come dimostra questa mappa del 1722 e anche nelle successive sino a fine 1800 non era edificata come il centro e non vi era nulla se non campi e boschi intervallati da qualche cascina. 

E' con l'era industriale che per Corsico inizia l'espansione  grazie alle tantissime nuove aziende che si instaurano nel territorio e infatti la prima costruzione a ridosso del ponte è stata proprio un azienda, il palazzo dell'Industria Conserviera Carne, costruzione avvenuta dopo il 1908 che nel 1934 lascerà spazio poi alla Concerie Stella, area che dopo l'abbattimento delle Concerie alla fine degli anni 60 prenderà appunto il nome di area ex Stella. 
E dopo il 1935 viene costruito anche il palazzo che rimane l'unico attualmente a ridosso del ponte sul Naviglio . 
1908, non c'e ancora traccia delle costruzioni a ridosso del Ponte

Sino al 1945 la strada che percorreva il piccolo ponte di Corsico si chiamava via Fiume, nel dopoguerra venne poi intitolata al caduto partigiano Leopoldo Bozzi e con l'espansione del ponte e il cambio di direzione prese il nome attuale di Viale Liberazione. 
Tra la fine degli anni sessanta e i primi anni Settanta vennero abbattute le Concerie Stella, che ormai avevano dismesso l'attività, e nell'area venne creato un parcheggio e nel restante spazio nel 2009 fu attivata la nuova stazione. Dagli anni settanta ad oggi l'area Ex Stella ospita nel mese di settembre le giostre di Corsico durante la festa patronale. 
Dopo l'abbattimento delle Concerie il ponte venne rinnovato e più che raddoppiato nella sua larghezza, cambiandone anche la direzione che prima portava nell'attuale via Bozzi, e portato ad attraversare anche la ferrovia.
Cosi il piccolo ponte è diventato finalmente grande.

Corsico, Via Fiume, anni 30/40

Corsico, Via Bozzi anni 60

Il ponte oggi, nel riquadro l'area che copriva il vecchio ponte


1834, il ponte durante l'incendio


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18 GIUGNO 1944, LUIGI SALMA MUORE NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI MAUTHAUSEN



"........A San Vittore rimase tre mesi e il 3 marzo del 1944 venne deportato nel campo di concentramento di Mauthausen in Austria.
A Mauthausen Luigi Salma arrivò il 13 marzo 1944. Una data, questa, che si desume dal volume di Italo Tibaldi, Compagni di viaggio - un testo fondamentale per la ricostruzione dei «trasporti» che portavano al lager.  Quello di Salma fu il «trasporto» numero 33. A Mauthausen, in Austria, Luigi Salma - numero di matricola 57624.
Partì dal terribile binario 21 della stazione centrale di Milano.
Nel campo di concentramento Salma incontrò almeno due superstiti che hanno raccontato di averlo visto prima della sua morte.
Mino Micheli racconta: "Se tornerò diceva, la prima cosa che farò sarà di cambiare cognome!"  
Il lavoro svolto da Salma nel campo fu riferito al figlio da Angelo Clerici: "C'era una cava. E mio padre, ha spiegato Alberto - doveva fare non so quanti gradini, su e giù da quei gradini, per prendere e portare su le pietre. La gente cedeva così. E quelli che si fermavano, coi cani li azzannavano».
Luigi Salma morì il 18 giugno 1944."



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CORSICO E LA SUA STORIA CONSIGLIA:

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